Trascorso quel decennio fiorente, riprese a lavorare in Italia. Erano gli inizi degli anni 70, e fu così che un pomeriggio, dopo il lavoro, in compagnia di un amico (che evidentemente conosceva bene quella strada) entrò per la prima volta in Agenzia. Gli adepti e gli addetti al lavoro di quell'epoca (e non solo di quella) sanno di che cosa si tratta: nome abbreviato di Agenzia ippica, di una sala corse, dove si scommette sui cavalli. Fu fatalità che quella sera ebbe fortuna e vinse una bella sommetta. Forse col senno di poi, si trattò solo di sfortuna. Divenne un frequentatore assiduo di quell'ambiente sguaiato. In breve tempo dilapidò buona parte del patrimonio accumulato negli anni della Svizzera, denaro risparmiato e destinato alla costruzione di una nuova casa già in progetto. La moglie se ne accorse e cercò di mettere un freno, ma lui toccò il fondo lo stesso.
Non avendo più accesso ai conti, arrivò ad impegnare gli oggetti di valore, portò al Monte di pietà persino la fede nuziale (anello che venne poi riscattato dalla moglie e che fu affidato ai suoceri: non lo rivide mai più). Per poter dare sfogo alla sua sete perenne cominciò anche a svendere i dipinti, quadri che dipingeva velocemente, «quadri a getto» come disse lui, e che la maggior parte delle volte firmava con nomi inventati. Iniziò in quel periodo a produrre soggetti di cavalli in corsa, scenari da ippodromo, che venivano barattati con i titolari delle agenzie in cambio di biglietti da scommessa. Non vi era sala corse dove non vi fosse appeso almeno uno dei suoi quadri. Sia nelle agenzie del Comasco, sia in quelle delle province vicine. Questi quadri però, a differenza degli altri, erano maggiormente curati e portavano la sua firma. Dei piccoli capolavori la cui produzione, durante la sua vita, non venne mai interrotta, anche se non fu poi tanto massiva come la paesaggistica; diciamo che fu piuttosto collaterale. Intanto la vita in famiglia era diventata un inferno per entrambi i coniugi.
Decise così di partire, prese il suo cavalletto ed incominciò a girovagare per l'Italia. Sostò e si fermò sempre nelle città dove, nei sobborghi o in prossimità di queste, vi fosse un ippodromo. Bologna. Firenze e Roma, per arrivare poi fino a Napoli. Vivendo solo di pittura ed anche con qualche scommessa azzeccata. Tornò poi verso il nord e si fermò per un certo periodo a Milano, città anch'essa dotata di ippodromo, dove viveva Renata, una delle sue sorelle, e lì si fermò ospitato da lei. La sorella lo fece ragionare, gli ricordò che aveva moglie e figli. Fece così rientro a casa. Non venne certo accolto a braccia aperte, anzi: la moglie era decisa a separarsi, ma in fondo gli voleva bene e lo perdonò. Così fu per altrettante volte, quando ogni tanto partiva di nuovo. Un periodo in cui la vita familiare gli andava troppo stretta e in cui cominciava a percepire il richiamo della strada, anche se mascherato dall'illusione e dalla fatalità. Cosa che è comune a molti uomini: sperare di poter risolvere tutto con un colpo di fortuna. Capita più spesso ai sognatori, agli spiriti liberi e agli artisti. E queste caratteristiche lui le possedeva tutte. Sognava, in un domani, di potersi dedicare completamente all'arte, di potersi così liberare dalla schiavitù del lavoro che lo opprimeva e limitava i suoi spazi togliendo linfa vitale al suo estro. Quel periodo durò circa due anni, poi, per amore della famiglia, lo accantonò e trovò un nuovo impiego: si rassegnò e riprese a lavorare.
Seppur fosse stato un periodo tumultuoso, indubbiamente fu anche propedeutico e preparatorio alla svolta che qualche anno dopo ebbe la sua arte. Si affacciò per la prima volta timidamente alle piazze. Fece tesoro di quell’esperienza, esercizio svolto proprio nelle città più opulente, ricche di capolavori e non a caso definite «Città d'arte» come la splendida Firenze. Per quanto riguarda l'attività parallela di quegli anni, e cioè il gioco, non smise mai, l’accompagnò per tutta la vita, i cavalli erano davvero la sua passione. Imparò però la moderazione, ne abbandonò l'ossessività e trasformò in puro piacere e divertimento quello che definiva il suo sport. A chi gli chiedeva «Perché giochi?», semplicemente rispondeva:
«Il gioco è insito nell'uomo e giocare fa parte dell'uomo ».